Amaro Montenegro, l’elisir di lungavita di Stanislao Cobianchi
Regnanti, navigatori e poeti si intrecciano nell'incredibile storia di questo liquore.

1862, in una neonata Italia unitaria al suo primo compleanno, in quel di Bologna, vede la luce Stanislao Cobianchi.
Secondogenito di una nobile famiglia felsinea (il fratello, Cleopatro fu l’inventore dei noti Alberghi Diurni), per il sistema patrilineare, ancora fortemente in uso all’epoca (Erbhof, “Maso Chiuso”, come la chiamano i Tedeschi), per lui c’erano ben poche possibilità: carriera ecclesiastica o militare.
Il padre scelse la prima.
Intelligente e curioso Stanislao, fin da piccolo, ma dal carattere forte, impaziente, ribelle.
Casula e stola proprio non gli si addicono, ed un bel giorno, anzi una notte, ancora adolescente, senza benedizione paterna, evade dal Seminario Arcivescovile, troppo orgoglioso per piegarsi alle decisioni altrui.
Un lungo viaggio fra spezie e frutta esotica
Corre Stanislao, corre, sempre più veloce, scappa; ottanta chilometri lo separano dalla libertà e dall’incontro col proprio destino.
Va verso il mare; il porto più vicino è Ravenna, “IL” porto dell’Emilia, fin dai tempi dell’Imperatore Augusto.
S’imbarca, come mozzo, su una nave mercantile (non battente bandiera liberiana), con il quale, novello Ulisse, peregrinerà per anni, solcando mari ed oceani di tutto il mondo.
Anatolia, Madagascar, Cina, Ceylon (oggi Sri Lanka) sono i suoi compagni d’avventura, ed ancora Tropici e Caraibi.
Grazie a questa incredibile esperienza, che sembra uscita dalle chine di Hugo Pratt (Corto Maltese docet), partito da un’Italia di provincia, acerba e regionalistica, e neppure compiutamente unita, in un tempo che procede lento, e nel quale le distanze, per l’Uomo, sono incolmabili, Stanislao abbraccia il mondo intero, assaporandone spezie, frutti, aromi, erbe che non potrà mai più dimenticare.
La nascita dell’Elisir Lungavita
Rientrato in Italia punta al fermento del sabaudo Piemonte, da poco orfano di Capitale, dove, lavorando in alcune distillerie, impara l’arte della liquoristica, e si rivela un abile erborista ed alchimista.
Il ricordo esotico dello sconosciuto non lo abbandonerà mai; per quattro anni lavora alla sua idea di Amaro, unendo alla tradizione italica di genepi, arancia ed arancia amara, fra gli altri, i tropicali chiodi di garofano, cannella e noce moscata.
Nel 1885 completa la sua ricetta, e nasce l’ “Elisir Lungavita”: un blending di sette soluzioni alcoliche differenti, estratte da quaranta fra spezie, frutta esotica, frutta essiccata, radici, semi, cortecce, scorze d’agrumi, rizomi, fiori e legni pregiati, provenienti dai quattro angoli del mondo.
Sette, il numero perfetto, come le Virtù; sette, come le Meraviglie ma più di tutto, sette, come i metalli simbolici della trasmutazione alchemica.
La ricetta, ancora oggi assolutamente segreta, scritta di proprio pugno, passo passo, con ingredienti, dosi, tecniche di produzione, maturazione e miscelazione, viene sigillata in una cassaforte, dove ancora si trova.
Anche l’iconica bottiglia viene disegnata, ex novo, dalla mano del nostro Stanislao, che vuole richiamare l’ampolla di una pozione alchemica.
Il ritorno a Bologna
Nel medesimo anno, il nostro Will Hunting dei Colli bolognesi, decide di tornare in patria (Oh, the Call of the Wild!), dove prima lavora nella Bottiglieria Cillario-Gancia (parenti di “quei” Gancia…), meta obbligata serale dei robusti bicchieri di un non-più-giovane Giosuè Carducci, e successivamente apre una bouvette in piazza Maggiore.
Nel 1895 apre, in un sottoscala a Borgo Panigale, la Cobianchi Stanislao Distilleria a Vapore, per poi spostarsi a San Lazzaro di Savena, dove inventa e produce anche il dry gin Big Ben, il brandy Lancieri di Monforte, il Cherry Brandy, la Crema all’Ovo, ed il liquore al rabarbaro Bergia.
Podgorizza-Torino, coast to coast
Nel frattempo a Palazzo Reale a Torino, una preoccupatissima Regina Margherita, con l’aiuto di uno schipetaro Francesco Crispi nei panni del ruffiano, tesse un tonico e corroborante matrimonio per l’unico figlio, futuro Re: il non propriamente aitante (1,53 di bassezza) Vittorio Emanuele III.
La scelta ricade su Jelena Petrović-Njegoš, conosciuta ai più come Elena del Montenegro, figlia di Re Nicola I, che in soli cinque mesi, passa da sconosciuta a Regina d’Italia.
Sua Altezza (è proprio il caso di dirlo…) era un donnone di 1,80 m, levatura più che ragguardevole per l’epoca, ad hoc per sparigliare, dalla linea di sangue, i difetti genetici e l’emofilia, serpeggianti nell’humus sabaudo, e donare all’Italia un erede forte e sano.
Elena conquista l’Italia tutta, ed anche il cuore del nostro Stanislao; lui in Montenegro c’è stato davvero, sulle coste, ormeggiando nel porto di Bar, dove aveva assaggiato il Karik, l’amaro locale alle erbe.
Così, nel 1896, anno del Royal Marriage in salsa italo-montenegrina, decide di dedicare alla Principessa la sua più preziosa creatura, chiamandolo Amaro Montenegro.
Il poeta astemio ed il Liquore della Virtudi
Ma la storia di Stanislao e del suo Amaro non smette di intrecciarsi con quella italica.
Reduce dalle Esposizioni Universali di Parigi, Bruxelles e Torino, dove Cobianchi fa man bassa di premi e medaglie, puntando un riflettore internazionale sul suo Amaro, decide, nel 1921, di omaggiarne alcune bottiglie alla Chiara Ferragni dell’epoca, alias Gabriele D’Annunzio.
Il Vate d’Italia, già recluso nel suo esilio dorato presso il Vittoriale degli Italiani, a Gardone Riviera, Alto Garda, non era proprio una giovane educanda.
Focosamente incline e famelico solo di alcuni peccaminosi piaceri, non godeva molto della tavola ed era (almeno ufficialmente) pressoché astemio.
L’alcol sarebbe stata una contraddizione insostenibile, per il Sommo Poeta, nell’ideale di vita del Superuomo nietzchiano.
Nonostante cio, fu l’astemio più influente nella storia del beverage!
Grazie alle sue geniali incursioni pubblicitarie, aveva già fatto la fortuna di italici liquori quali l’Aurum, il Select e l’Amaretto di Saronno, e per fortuna del nostro Stanislao (e di tutti noi), non fu da meno con il Montenegro.
D’Annunzio scrisse, di proprio pugno, una lettera di ringraziamento a Cobianchi, nella quale riporta che i suoi amici ed i suoi Legionari hanno trovato in quel liquore tutte le delizie, e lo definisce “Liquore delle Virtudi”.
Stanislao non se lo fa dire due volte, e la d’annunziana citazione, con tanto di firma in calce, finisce su tutte le pubblicità dell’Amaro Montenegro, decretandone il successo.
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